sabato 31 marzo 2012

La Storia di Lisey di Stephen King

Rileggere Stephen King dopo tanti anni mi ha fatto riscoprire un autore vecchio e nuovo allo stesso tempo. Ho ritrovato lo stesso stile di scrittura fluido e avvincente che ricordavo, le stesse cento pagine che potevano essere sintetizzate ma ho anche scoperto un King nuovo, maturo e romantico.
La storia di Lisey nonostante gli incubi e l'orrore, racconta una storia d'amore, una struggente storia d'amore e di un'infanzia sofferta. L'orrore e' sempre dietro l'angolo ma diventa secondario. King stupisce per la sua sensibilita' e la sua capacita' di emozionare profondamente e in alcuni passaggi il romanzo e' decisamente commovente.
La storia di Lisey e' un racconto fatto di ricordi, di continui flashback che si sovrappongono al presente. Un intreccio tra ricordi e vita quotidiana, perfettamente narrato dall'autore. Le narrazioni e i narratori s'intrecciano e si sovrappongono, anche se in realta' il nostro tramite con la storia e' sempre Lisey. Una narratrice che ricorda con sofferenza e ci svela lentamente i dettagli della storia per alleviare il suo dolore. 
Un affascinante racconto nel racconto ricco di stile e sfumature. La traduzione in italiano non deve essere stata una questione semplice visto il numero di neologismi presenti nel romanzo.

giovedì 29 marzo 2012

Dei miei sospiri estremi di Luis Buñuel


In questi due anni ho riscoperto una mia passione mai sopita, quella per il Surrealismo e ho scoperto diverse autobiografie che mi stanno permettendo di scoprirlo un po' meglio. I suoi lati oscuri, i suoi lati sempre affascinanti e le motivazioni del fallimento, perché in realtà credo che il loro progetto sia fallito, come un po' tutte le avanguardie. Il fascino dei protagonisti di quel movimento rimane ma la loro arte si è persa nella pubblicità e nelle copie scadenti.

L'ultima lettura è stata quella dell'autobiografia di Luis Buñuel che mi ha affascinato in principio per il suo titolo e poi per il personaggio di cui ho visto alcuni film. Un personaggio finora da me conosciuto come l'alter ego di Dalì ma che dopo la lettura di questa bellissima autobiografia se ne discosta ampiamente.

Questa autobiografia di Buñuel è difficile da raccontare perché rimane molto ma che non riesco ad esprimere. Durante la lettura non ci si annoia e si ride, ci si emoziona e si gode delle sue storie e della sua vita e del suo modo di raccontarle. Non è necessario essere d'accordo al 100% con tutto quello che dice ma ne esce il ritratto di un personaggio particolare e affascinante. Un vero surrealista che ha fatto di questo spirito una delle linee guida della sua vita, certo se lo è potuto permettere...Dai suoi film ai suoi scherzi hollywoodiani fino alle scelte lavorative. Lasciò la Spagna per Parigi, Parigi per New York, New York per Los Angeles per approdare in Messico dove tra alti e bassi ha trovato il modo di esprimere il suo cinema, senza compromessi, se non quelli con i budget ridotti.

L'autobiografia di Buñuel è affascinante perché lui stesso riconosce le lacune della sua memoria e trasforma di fatto l'autobiografia in un romanzo... "In questo libro semibiografico, nel quale mi capiterà di perdermi come in un romanzo picaresco, di abbandonarmi al fascino irresistibile del racconto inaspettato, forse, malgrado la mia vigilanza continuerà a  sussistere qualche ricordo fasullo".  Dedica molto dei suoi racconti ai surrealisti, alle diverse anime e agli scontri nel gruppo. Riconosce i limiti di alcuni e i pregi di altri. Riconosce anche la sconfitta del movimento..."Il movimento surrealista si preoccupava poco di entrare gloriosamente nelle storie della letteratura e della pittura. Il suo desiderio primario, desiderio imperioso e irrealizzabile, era trasformare il mondo e cambiare la vita. Su questo punto - l'essenziale - una breve occhiata intorno, e il fallimento salta subito agli occhi."

Parla molto di Dalì ovviamente. Hanno scritto insieme e in perfetta sintonia Un chien Andalou e si sono allontanati molto nel corso degli anni. Secondo Buñuel il motivo del cambiamento di Dalì è stato Gala, l'amore del pittore, che lo ha guidato e gestito, lui che non aveva senso pratico. Dalì dichiaro nella sua autobiografia l'ateismo di Buñuel mettendolo nei guai e quando lui chiese spiegazione Dalì rispose "Ho scritto quel libro per farmi un piedistallo, per farlo a me. Non a te". Nonostante ciò Buñuel definisce Dalì
un genio e Picasso solo un pittore.

Buñuel parla del caso, di Dio e sul Ateismo dice "credere o non credere e' la stessa cosa"... Parla dei suoi film raccontando poche cose legate ad ogni film anche se dice "non ho nessuna voglia di passare in rivista tutti i miei film e dire cosa ne penso - non spetta a me farlo. Inoltre, non credo si possa confondere una vita con un lavoro." Parla del cinema e del suo difficile rapporto con Hollywood. Fa una lista di tutto quello che ama e che odia e il consiglio che ci dà è di fare altrettanto e parla dei suoi aperitivi che arriveranno alla fine a scandire la sua giornata.

Le ultime pagine sono dedicate alla vecchiaia e alla morte e sogna un ultimo scherzo per i suoi amici..."Adesso che mi avvicino all'ultimo respiro, immagino spesso un'ultima burla. Faccio convocare alcuni vecchi amici, atei convinti come me. Sono tristi, intorno al mio letto. A questo punto entra un prete, che ho mandato a chiamare. Con grande scandalo degli amici, mi confesso, chiedo l'assoluzione di tutti i miei peccati e ricevo l'estrema unzione. Dopo di che, mi giro su un fianco e muoio". Surrealista fino in fondo. 

mercoledì 28 marzo 2012

La strada di Cormac McCarthy


Un uomo e un bambino, un padre e un figlio, sono questi i protagonisti senza nome del romanzo post apocalittico di Cormac McCarthy che racconta i due alle prese con un viaggio verso sud. Il loro viaggio percorre un mondo post bellico o semplicemente un mondo alla deriva a causa dell'inquinamento e dell'incivilta'. In questo loro viaggio incontreranno ladri e cannibali che catturano i sopravvisutti per mangiarli. Un racconto in movimento eppure immobile perche' dopotutto succede pochissimo nonostante il viaggio sia lungo.

Il romanzo e' tutto questo, un semplice viaggio agghiacciante in un mondo che non esiste piu' dove regna la legge del piu' forte e dove in mancanza di animali, tutti estinti, la sopravvivenza e' legata alla ricerca di cibo in scatola, l'ultimo scacco del consumismo imperante? Un mondo di prede e cacciatori dove le alternative sono azzerate.

E' un libro affascinante e allo stesso tempo agghiacciante, un libro fatto di frammenti e di vuoti da riempire, dove spetta al lettore recuperare le fila del racconto e collegari i vari frammenti per capire lo scenario e tutto quello che e' accaduto prima del racconto.

La scrittura di Cormac McCarthy e' cruda e tagliente, e' emozionante e va dritta al punto. La sua puo' essere una denuncia di un mondo alla deriva dove inquinamento e consumismo hanno preso il sopravvento e dove i rapporti tra le persone sono sempre piu' carenti. Un racconto arricchito da un particolare rapporto tra un padre e un figlio, distanti eppure vicini.

martedì 27 marzo 2012

Salvador Dalí - Diario di un genio

Salvador Dalí è un genio? La domanda nasce leggendo questo suo autocompiaciuto diario dove parla di stesso e dove racconta solo quello vuole. L’autore/artista dichiara di omettere volutamente alcune parti perché un giorno qualcuno gli chiederà di scriverle e pubblicarle.


Questo Diario di un genio di Dalí è biograficamente interessante nella prima parte dove racconta la sua infanzia e il suo rapporto con il padre e con… Nietzsche. Dove ci racconta il perche’ dei suoi baffi e quello che pensa di Proust. Vengono anche svelati i suoi attriti con i surrealisti e con Breton

Insomma poche pagine che raccontano molto e poi l’aspetto autobiografico si frammenta in tanti piccoli episodi, in scene di normale quotidianita’ di un’artista autodefinitosi genio. Dipinge, parla del suo amore per Gala, dei suoi piccoli incontri. Una raccolta di episodi, d’impressioni e opinioni tutto in un periodo di due anni a Port-Lligat.

E’ una specie di diario del superfluo, che ci vuole dare degli spunti per inquadrare il personaggio o forse vuole solo depistare chi lo legge. Dalí gioca con il lettore curioso? Alla fine della lettura pero’ non c’e’ la soddisfazione di aver scoperto qualcuno e di averlo compreso e non sono rimasto incuriosito dal personaggio. Una lettura che serve a far capire chi Dali’ potrebbe essere, un pazzo che non e’ un pazzo. Probabilmente tutto Dali’ e’ nei suoi baffi e non mi appassiona. Lasciamolo ai suoi quadri, forse e’ meglio. 

lunedì 26 marzo 2012

Cinema Totale di René Barjaval


Il mondo, come l’uomo, non può ritornare indietro alla sua giovinezza. Non rimpiangiamo ciò che non c’è più. Lasciamoci al contrario meravigliare da ciò che intravediamo dell’avvenire.

Il saggio di René Barjaval su cinema e tecnologia conquista fin dalle prime pagine anche perché tra le sue pagine c’è tutta la passione per il cinema come mezzo tecnico per creare emozioni. Un saggio sullo sviluppo della tecnologia al cinema che si traduce in una sorta di romanzo, una narrazione sul cinema e sulle sue potenzialità passate e future.
L’idea di cinema dell’autore rapisce e permette d’interpretare anche il cinema odierno, nonostante si parli di un libro degli anni 40. Un libro da trascrivere per intero per raccontarlo e difficile da rendere in poche parole. Tra le pagine più belle ed emozionanti ci sono quelle che raccontano l’uomo del popolo che va al cinema, entra in sala e rapito dalla poesia del cinema non pensa più a nulla, come se tutto sparisse. Dopotutto è sempre stata questa la magia del cinema.
Per realizzare questa magia, secondo Barjaval il cinema deve essere totale, cioè tutti gli elementi che compongono il film  (suono, immagine, dialoghi, colore) si devono integrare in armonia per creare poesia e diventare il mezzo d’espressione del genio.
Questo in estrema sintesi quello che ci racconta l’autore che dedica un capitolo per ogni tematica ed evoluzione tecnica. Parla del suono al cinema e sostiene che il dialogo non deve descrivere l’azione ma aggiungere la sua poesia alla poesia dell’immagine. Sul colore dice non abbiamo bisogno della cinepresa per sapere che il cielo è blu, il prato è verde e l’abito rosa. Il cinema deve impiegare il colore più come elemento drammatico e poetico che come mezzo descrittivo.
Barjaval parla anche di cinema in rilievo, ricorda qualcosa? Il cinema 3D era un desiderio antico e a quanto pare sembra che anche i fratelli Lumiere abbiano fatto degli esperimenti con occhialini considerati poi troppo poco precisi e troppo invasivi per la vista del pubblico. C’è sempre stato il desiderio di avvicinare l’immagine cinematografica al reale fino a rendere l’illusione del cinema sempre più perfetta. Questa illusione del reale secondo Barjaval non deve essere fine a se stesso ma deve diventare un gioco e non un semplice documentario del fantastico.

Più il vocabolario del cinema, vocabolario di suoni, di immagini di colori, di volumi si arricchirà, più l’autore di film dovrà sottoporlo a una sintassi rigorosa. Non per assoggettarsi a un piatto realismo, ma per trascinare la folla, grazie alle apparenze materiali della verità, nel cuore stesso della poesia.

Nel libro di Barjaval la tecnologia al cinema e’ raccontata non solo in termini di poetica e meraviglia ma c’e’ anche una riflessione su quanto impatto questa tecnologia possa avere sulla distribuzione dei film e sull’impatto sociale e culturale di un cinema capillare che raggiunge tutte le case, con una conseguente omologazione…forse voleva parlare di TV.
La profonda passione per il Cinema che si legge tra le pagine di questo libro e’ forte e l’autore lo dimostra anche immaginando un cinema istituzionalizzato in tutti i suoi aspetti. Un cinema che deve essere insegnato a tutti, perché anche se tutti non diventeranno autori, saranno un pubblico istruito e sapranno valutare quello che vedono.  Una riflessione importante in un momento nel quale la cultura e l’istruzione non sono di certo all’ordine del giorno. In ogni momento ci dobbiamo ricordare che l’istruzione e la cultura non sono spese da sostenere ma investimenti per il futuro di intere generazioni.

Per anni si dimenticherà completamente il bianco e il nero, così come si è dimenticato il silenzio dopo l’invenzione del parlato. Un innovatore ardito li introdurrà un giorno in mezzo a scene colorate e farà gridare al miracolo.

domenica 25 marzo 2012

E poi siamo arrivati alla fine di Joshua Ferris


E poi siamo arrivati alla fine racconta la vita d'ufficio di un'agenzia pubblicitaria nel periodo della crisi economica statunitense. La storia si svolge durante un intenso periodo di licenziamenti e tra pettegolezzi, riunioni, campagne pubblicitarie mancate ci mostra la diversa umanita' che popola l'ufficio.
Il romanzo e' leggero e intenso al punto giusto e in alcuni punti e' abbastanza godibile da leggere anche se le ombre non mancano. Nel racconto ci sono spesso delle lungaggini che a mio parere potevano essere evitate. I diversi episodi raccontati hanno l'obiettivo di far riflettere in un certo senso sulle dinamiche, a volte spietate, dell'ufficio e alla superficialita' di alcuni rapporti umani. Il problema e' che molti episodi sembrano ripetere con diversi scenari sempre le stesse cose senza portare nulla di nuovo.
Un'altra caratteristica un po' particolare del romanzo e' il racconto in prima persona che ad un certo punto cambia narratore per poi tornare a quello precedente. Una scelta che potrebbe sembrare normale ma che invece risulta un po' stonata e non troppo giustificata.
I dialoghi in generale sono brillanti anche se nella parte centrale del libro il ritmo rallenta e l'attenzione verso la storia cala. E' comunque un libro da consigliare sopratutto a chi vive buona parte della giornata in ufficio perche' nel libro si riconoscono diverse situazioni della quotidianita' lavorativa.
Alla fine della lettura ci domandiamo chi siano le persone che ci circondano per buona parte della giornata, cosi' familiari ma in fondo cosi' estranee e sopratutto rimane un po' l'amarezza di prendere coscienza del fatto che probabilmente la vita d'ufficio ci appartiene piu' di quanto noi apparteniamo al tempo libero.

Aspettando i barbari di J. M. Coetzee


Il primo pensiero leggendo la prima parte del romanzo di Coetzee è Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati per il clima d'attesa che si crea all'inizio della storia e per il senso di angoscia e ansia. Gli sviluppi del romanzo di Coetzee sono però altri e più la narrazione procede e maggiore è il distacco dal bellissimo romanzo di Buzzati. La forza del romanzo di Buzzati, infatti, sta nella creazione di un'atmosfera angosciante, di ansia, di attesa portata alle estreme conseguenze per tutta la narrazione, un racconto che catapulta il lettore in una spirale di malessere. Un libro assolutamente da leggere che può lasciare profondi segni in chi lo legge, almeno con me lo ha fatto.
Aspettando i barbari di J.M. Coetzee è un bel romanzo che però non ha suscitato le stesse profonde emozioni del Deserto dei Tartari ma nonostante ciò è ricco di riflessioni interessanti, sopratutto per le tematiche trattate. Il libro è stato pubblicato nel 1980 ma sembra un'inchiesta sui nostri tempi, sulla nostra contemporaneità e sulla politica mondiale. 
Nel romanzo è evidente il tono di accusa contro un certo tipo di sfruttamento e annientamento culturale e militare, contro lo schiacciamento dell'Altro e della sua cultura. Lo straniero e la sua cultura vengono denigrati e poi sfruttati. Nella narrazione l'autore come un veggente parla del futuro e di come i barbari, i loro manufatti e la loro cultura verranno considerati. Il romanzo narra una storia ma narra anche la ciclicità della Storia, ci saranno sempre nuovi barbari finché se ne avrà necessita, finché il nemico e la violenza contro l'altro, contro lo straniero sono l'unica arma per unificare una società che di civile ha ancora poco. 
A questo proposito sono agghiaccianti le scene più violente del romanzo dove i barbari e il protagonista stesso diventato in un certo senso barbaro agli occhi di tutti, vengono torturati e sbeffeggiati pubblicamente in piazza. Scene che rimandano all'odierna attualità dove la violenza contro l'altro, fisica o psicologica, è all'ordine del giorno nelle pubbliche piazze televisive. 

sabato 24 marzo 2012

La svastica sul sole di Philip K. Dick


C'era una volta un libro, anzi due, anzi tre.
Un libro che ne contiene altri due, ed è proprio questo l'aspetto affascinante di questo romanzo, quello che lo rende letterario. Mi affascinano i libri che fanno i libri e questo riesce nel suo intento. C'è il romanzo della storia raccontata, c'è il romanzo raccontato nella storia e c'è il libro della fede che guida le azioni dei personaggi, in pratica è il libro che muove gli attori e in pratica scrive la storia.
Dick riesce in questo romanzo a intrecciare questi livelli di narrazione, intreccia le storie dei tre libri con le storie dei diversi personaggi e crea dei percorsi paralleli i personaggi rimandano ad altri ma alcuni non s'incontrano mai.
In questa storia l'autore va oltre la fantascienza ed entra nella fantastoria, la storia è rovesciata e tutto il mondo è visto al contrario, una visione alternativa dove i giapponesi e i tedeschi hanno vinto la seconda guerra mondiale.
La storia ti porta a confondere le diverse realtà e il gioco di specchi è un gioco con il lettore che potrebbe mettere in dubbio la sua stessa esistenza e pensare "qualcuno sta leggendo il libro della mia vita?".
E' il primo romanzo di Dick che leggo e non posso fare un confronto con altri romanzi, l'unica cosa che può sembrare una nota negativa del racconto è l'incompiutezza delle trame. Tutto si conclude così com'è cominciato, sfumando. Nota negativa o ennesimo gioco dell'autore?
Un libro che produce più domande che risposte, quindi un romanzo assolutamente da leggere.

venerdì 23 marzo 2012

Architetture, città, visioni di Gabriele Basilico


Gabriele Basilico è un fotografo che ho scoperto grazie a Fra che scrivendo la sua tesi mi ha fatto scoprire molti artisti che non conoscevo e sopratutto ha alimentato la mia passione per la fotografia. Basilico mi ha subito affascinato nonostante non sia il fotografo star che tutti ammirano perché i soggetti delle sue immagini si trovano un po' al di là del gusto comune. Niente reportage, niente ritratti ma architetture. Questo fotografo accomuna alcune delle mie passioni più o meno acerbe: la fotografia, l'architettura e le città. L'architettura è per me una passione acerba, un gusto nella visione e una ricerca di forme. Mi piace fotografare linee e forme e mi piace dare un ordine all'inquadratura e in Basilico trovo questo e di più. Trovo nelle sue immagini un'analisi dello spazio, di come le architetture creano gli spazi e danno significato alle città. Attraverso le foto di Basilico si riesce a migliorare la propria visione della città. Percorrere la città è già una mia passione e vedere foto come quelle di Basilico facilita la sua interpretazione.
Il saggio di Basilico "Architetture, città, visioni" parla di questo e di altro. Il suo sguardo sulle rovine di Beirut, le immagini dei porti, i frammenti delle diverse città fotografate, le fabbriche di Milano. Difficile da sintetizzare il flusso d'immagini e parole che ti rapiscono nella lettura. Quelle immagini in bianco e nero che mostrano l'anima della città sempre mantenendo un distacco critico. Quando Basilico fotografa gli edifici ne rimane fuori e lascia al nostro sguardo la possibilità di indagare. La sua è una fotografia documentaria che però ci regala sempre qualcosa di più nonostante il fotografo voglia mantenere uno sguardo obiettivo.
Sono diversi i bei passi di questo saggio, quando parla del fascino delle rovine, della memoria nella fotografia e nell'architettura e quando parla della città, di come imparare a guardarla. Un passaggio in particolare mi ha colpito. Basilico sostiene che il commercio e i negozi hanno ostruito la nostra visuale sulla città, non riusciamo più ad alzare gli occhi in alto per vedere dove finisce la città e dove comincia il cielo. Secondo Basilico abbiamo perso la capacità di leggere la città verso l'alto e leggiamo tutto in funzione della linea dei nostri occhi. Ho interpretato questo passaggio come un invito: alza gli occhi e scopri cosa c'è sopra e se ti capita fotografala. Le linee degli edifici che portano al cielo sono lì per essere godute e ammirate.

giovedì 22 marzo 2012

La mia vita di Charlie Chaplin


E' incredibile che un libro come questo sia fuori catalogo da tempo. Per leggerlo bisogna cercarlo un po' ovunque nei negozi dell'usato o altrove. Molto spesso pero' e' questa ricerca che aumenta il fascino e il desiderio della lettura.
L'autobiografia di Chaplin poi non delude. E' il romanzo della sua vita raccontata in prima persona, un racconto autentico e un punto di vista parziale. Quello che rende interessanti le autobiografie e' che anche lo stile del racconto e la selezione degli episodi ci restituiscono il personaggio.
Chaplin in questa autobiografia ci racconta la sua infanzia difficile e la sua ascesa al successo, dalla miseria alla richezza. Ci racconta le sue idee sul cinema e i suoi film, ci racconta la nascita di Charlot. Ci racconta i suoi problemi a causa delle sue idee politiche. Le difficolta' di accettare la rivoluzione del sonoro e le sue battaglie per produrre i film poi diventati storia. E' una storia che sorvola sugli aspetti piu' dolorosi di alcune storie d'amore o su donne di cui secondo lui non vale la pena parlare.
E' una strana biografia dove si parla poco dei suoi figli e di alcuni aspetti della sua vita, non c'e' equilibrio nel racconto e non sempre l'ordine cronologico e' rispettato. Nonostante questi difetti di narrazione il fascino resta immutato e il libro ci restituisce uno dei geni del cinema. Ci restituisce anche il suo amore per il teatro, il cinema (sopratutto muto) e la musica.
Non e' un libro sul cinema ma e' un libro sulla storia di un uomo dove a volte sembra che il cinema sia stato solo una parentesi: la modestia del genio?

mercoledì 21 marzo 2012

Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer


La storia e' semplice. Un bambino perde il padre nell'attacco alle torri gemelle. Tra le cose lasciate dal padre scomparso trova una chiave e decide di scoprire la storia legata a quella chiave. Il romanzo oltre a raccontare la ricerca del bambino narra anche la storia della sua famiglia e dei suoi nonni. Un intreccio che inizialmente puo' disorientare il lettore ma poi si riesce ad entrare nel tessuto della trama e tutto e' piu' semplice, anche emozionarsi.
La scrittura di Jonatha Safran Foer e' una scrittura particolare. Un modo di raccontare che a mio parere si adegua alla nostra contemporaneità. Questo romanzo mi fa pensare che in fondo la letteratura puo' ancora essere nuova dal punto di vista stilistico. Quando si legge molto si scopre che le storie da raccontare possono essere infinite, come possono essere infiniti i sentimenti dei personaggi. Molto spesso accade pero' di leggere romanzi che raccontano storie in modo ripetitivo e che riproducono lo stile della letteratura passata.
Nel caso di questo romanzo la narrazione non e' lineare e l'autore inserisce anche immagini non descrittive ma in un certo senso emotive, che danno spessore alla storia e alle emozioni dei personaggi. Il narratore unico non c'e' e l'impaginazione segue gli stati d'animo e il registro narrativo di ogni personaggio narrante, rendendo ogni capitolo diverso dall'altro.
Questa narrazione non e' un esercizio di stile perche' l'autore scrive di sentimenti profondi e alcuni passaggi del romanzo sono molto emozionanti. Mi hanno emozionato gli amori dei protagonisti, i diversi modi di raccontare i sentimenti ma il personaggio piu' emozionante rimane Oskar, il bambino protagonista. Oskar soffre la perdita del padre e con la sua profonda intelligenza cerca di sopravvivere con la ricerca di qualcosa, di una qualsiasi cosa che gli possa permettere di superare il dolore. Un bambino adulto che non riesce ad accettare che a volte e' sufficiente piangere o abbracciare una persona cara per sentirsi sollevati, anche se solo per un istante.

martedì 20 marzo 2012

Man Ray, Duchamp e l'esperienza dell'arte.


La rete delle casualità e degli incontri inaspettati ti porta a conoscere, a esplorare, a scoprire. Una mostra è il punto di partenza. Dopo molto tempo ho riscoperto una mostra e ho viaggiato attraverso le opere d'arte di Dada e Surrealismo riscoperti. Una grande mostra enciclopedica che racconta i due movimenti artistici e ci mostra le loro diverse espressioni, facendo emergere anche le seconde linee che insieme ai Grandi restituiscono il sapore, il respiro e le tecniche di queste due correnti.
Il bookshop alla fine della visita mi regala l'incontro con Autoritratto di Man Ray e L'ingegnere del tempo perduto conversazione con Marchel Duchamp. La tentazione di ricominciare ad immergersi nell'arte è forte e la scelta è ardua. Alla fine scelgo Man Ray, almeno per cominciare.
M'immergo nel libro e ne vengo catturato. Autoritratto di Man Ray è veramente una scoperta. In questa autobiografia Man Ray racconta se stesso e la sua vita. Leggi la sua vita e ti sembra di averla vissuta con lui, New York, Parigi, Los Angeles. Racconta tutte le sue donne anche se stranamente sorvola su Lee Miller, un amore passeggero o una storia troppo dolorosa? Una vita ricca d'incontri, tanti ritratti a personaggi celebri e tante conoscenze e scoperte per me come Alfred Stieglitz e Erik Satie.
Un'artista, un fotografo, un professionista, uno sperimentatore. Mi e' piaciuta l'idea di Man Ray che emerge dal libro, un uomo che non ha mai cercato di essere quello che non era, che ha deciso di lavorare per guadagnarsi da vivere senza fare l'artista a tutti i costi anche se artista era. E' affascinante immergersi nei suoi film e nei bianco e nero delle sue foto, abbandonarsi a questo personaggio ricco e apparentemente cauto.
La trama di conseguenze e di connessioni mi porta a Duchamp e al libro-conversazione Ingegnere del tempo perduto. Un'intervista e' probabilmente il modo migliore per raccontare questo personaggio enigmatico e affascinante. L'uomo delle contraddizioni, delle provocazioni, il "non artista" che ha rivoluzionato l'arte contemporanea. Lui che rifiuta la pittura e la considera una forma d'arte ormai morta, che non visita mostre e gioca a scacchi. Un personaggio tutto da scoprire in questa intervista che vola via e che lascia più di un dubbio alla fine della lettura: sarà tutto vero quello che pensa e che dice Duchamp o come sempre è tutto frutto della sua arte che è innanzitutto un gioco?
Non si può sintetizzare l'esperienza di queste due letture. Questi libri mi hanno permesso di avvicinarmi nuovamente all'arte intesa non solo come opera chiusa ma come esperienza, come respiro. Due artisti che hanno interpretato l'arte a modo loro, non accademico. Le loro storie e le loro visioni d'arte sono forse il modo migliore per cercare di comprendere cos'è oggi l'arte, l'artista e il pubblico.

lunedì 19 marzo 2012

Alice nel Paese delle Meraviglie / Attraverso lo Specchio


Dimenticarsi tutto quello che si sa su Alice e abbandonarsi al racconto è l’unico modo per leggere Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo Specchio. Gli occhi vanno tenuti chiusi e il respiro si deve regolare sullo scorrere delle parole. Si deve lasciare da una parte ogni razionalità perché nel mondo di Alice c’è sogno e nonsense. Il sogno muta tutto, ogni cosa muta continuamente, Alice stessa muta continuamente. Tutto è animato. Sono animate le carte, i pezzi degli scacchi, i fiori e gli animali non sono semplicemente animali e le cose non sono semplicemente cose. Niente ha un nome e tutto ha un nome nel mondo di Alice.
Nel mondo di Lewis Carroll le parole non hanno un solo significato e la lingua è viva, è animata. La poesia, le filastrocche, le parole hanno una forza unica in questi racconti. L’arbitrarietà della lingua si muta in racconto e diventa il cuore stesso del divertimento narrativo di Carroll.
Ci sono momenti di pura comicità dove tutto è surreale come nello straordinario incontro con la Duchessa nella sua cucina, oppure momenti dove i dialoghi si fanno brillanti e velocissimi come nel divertentissimo incontro tra Alice e le due regine.
Tra tanta esplosione di fantasia e inventiva narrativa ho percepito anche una certa malinconia. Un presagio di infelicità, forse dovuto all’età adulta di chi scrive, di chi legge. Molti personaggi sono imprigionati in loro stessi nelle loro routine. Sono struggenti le parole del Cappellaio matto sul tempo, ed è bellissimo l’incontro con Humpty Dumpty. Non so perché ma ho letto tanta malinconia in questi racconti, forse ci si può leggere la solitudine di Carroll? O forse è semplicemente l’amore impossibile di Carroll ad essere veicolato in questa storia?
Un libro da consigliare a chiunque ami la letteratura, l’invenzione narrativa e ami la fantasia. La letteratura per ragazzi diventa classica e supera il genere, diventando letteratura di tutti. Per chi volesse decidere di leggere questo romanzo consiglio un libro con le note e soprattutto le bellissime illustrazioni di Tenniel un’altra anima fondamentale di questo meraviglioso viaggio.

domenica 18 marzo 2012

Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams


How many roads must a man walk down.

Un gruppo di umani e non umani in giro per lo spazio senza una metà precisa, in realtà. Un racconto di fantascienza per il semplice fatto che è ambientato nello spazio. La narrazione principale s'intreccia con le surreali definizioni della Guida galattica per gli autostoppisti. C'è il numero Quarantadue. Ci sono le risposte ma mancano le domande. Ci sono i pianeti costruiti su misura, c'è crisi economica. Ci siamo noi?
Non si può svelare molto altro sulla storia. Un libro da leggere e non da raccontare. Il romanzo è una continua scoperta di invenzioni narrative, sarebbe interessante leggerlo in lingua originale. I personaggi sono tutti sopra le righe, nonostante il terrestre Arthur Dent voglia apparire quello più sano di mente. L'umano incarna il lettore che è perso nella narrazione, nello svolgersi degli eventi. Privato della sua Terra è perso nello spazio e cerca di capire il motivo della sua ricerca. Cosa muove tutte le persone che incontra? Apparentemente nulla ha senso. Ci sono i topi e il sovrano della Galassia, ci sono le biro. Poi c'è Marvin il robot, il Paranoid Android, che ad ogni sua breve apparazione cattura la scena con il suo pessisimismo e la sua depressione.
I dialoghi sono brillanti, divertenti e ricchi di nonsense. La storia scorre via e dice molto di più di quello che in realtà ci racconta. Ci racconta l'umanità, le sue dinamiche, i suoi strani comportamenti apparentemente ricchi di senso. E' criptico, geniale e divertente questo romanzo che nell'ultima parte non ti fai smettere di ridere. Una vera rivelazione.

sabato 17 marzo 2012

Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson

La storia di Uomini che odiano le donne non e' semplice da raccontare, le storie e i personaggi s'intrecciano. Una saga familiare, un giallo, un thriller, una denuncia al sistema economico, la denuncia della violenza sulle donne. Un mix di generi e un racconto ricco e mai uguale a se stesso che cattura il lettore. Quando si risolve l'enigma non finisce il romanzo perche' la storia va oltre e non s'interessa semplicemente di farci scoprire chi e' l'assassino. Questo e' possibile grazie alla storia intrigante ma sopratutto ai personaggi, protagonisti e non. L'aspetto interessante di questo romanzo e' che sono piu' interessanti le reazioni dei personaggi piuttosto che lo sviluppo della storia. E' una storia avvicente, ricca di colpi di scena ma mai nulla e' fine a stesso e tutto fa parte di un tessuto narrativo piu' ampio. Era da tempo che non restavo incollato in questo modo ad un romanzo.
Stieg Larsson ha la capacita' in questo romanzo di disegnare dei personaggi a tutto tondo, le loro emozioni, i loro pensieri, il loro modo di reagire alle situazioni. I protagonisti del romanzo, almeno i due principali, sono affascinanti e intriganti e ti sembra di conoscerli. Dopotutto il romanzo deve creare a mio parere anche questo legame con il lettore altrimenti si perde il patto principale che s'instaura incosciamente tra lettore e narratore sopratutto quando si parla di letteratura d'intrattimento e d'evasione. Questo aspetto viene molto spesso dimenticato da autori contemporanei che cercano di costruire solo storie complesse e ricche di colpi di scena ma che non vanno da nessuna parte senza dei veri personaggi che le sostengano (Dan Brown e Faletti due esempi su tutti).
Lisbeth Salander e' ovviamente uno dei punti di forza di questo romanzo, una ragazza enigmatica, un freak che vive ai margini della societa', incanta e seduce il lettore ed e' il vero lato oscuro della storia. Pur avendo letto solo il primo volume della trilogia (la storia e' pero' autoconclusiva) sembra che sia lei il centro della trilogia, il motore che muovera' i successivi sviluppi della storia.

venerdì 16 marzo 2012

A Kid - Radiohead di Gianfranco Franco


Radiohead (RH) sono una delle mie passioni, quindi appena ho letto che era uscito un libro che commentava i testi di Thom Yorke (e non solo), ho deciso che il saggio faceva per me. Quando poi dalla prefazione ho appreso che l'autore è mio coetaneo, mi sono subito ben disposto nei confronti della lettura.
Il saggio di Gianfranco Franchi è molto interessante. E' un analisi critica ed obiettiva dei testi di tutti gli album dei Radiohead e delle b-sides. L'autore usa un approccio intelligente e mai elogiativo alla lettura dei testi e ne esce un'analisi che trae una poetica dalle canzoni di Thom Yorke e traccia un percorso. Il commento ai testi è supportato da numerose interviste e dichiarazioni dei vari componenti del gruppo che permettono all'autore di ricostruire gran parte della genesi dei brani, anche se i lati oscuri non mancano. L'autore fa molte considerazioni e congetture personali. Parla di quello che conosce e lo lega ai testi dei RH per dare loro una specie di lettura più universale, anche se a volte non sempre colpisce nel segno.
Il filo conduttore del saggio è quello di uno Yorke paroliere Pop, "un magnifico ripetitore" lo definisce Franchi. La voce dei RH mescola tutto, quello che ha ascoltato, letto e visto. C'è la tv, la radio, la musica e la letteratura nei testi. Thom è un letterato e si vede attraverso i suoi omaggi, tra tutti Douglas Adams e Thomas Pynchon, ma anche Dante (la moglie è dantista) e Carroll. Assembla citazioni letterarie e musicali per creare il suo percorso, il percorso dei RH. Il tutto senza dimenticare i sentimenti, dai più violenti ai più teneri. L'amore e la rabbia su tutti.
Ci sono molte canzoni d'amore ovviamente, la maggior parte dedicate alla moglie Rachel. E' affascinante la lettura di alcuni testi dove sembra che Thom Yorke si inventi delle storie, delle crisi, dei tradimenti. Sembra creare una diversa dimensione del suo amore, o semplicemente una visione più distorta, più letterariamente mediata.
Il viaggio nei testi dei Radiohead è un viaggio anche nella loro maturità. Da testi con tematiche più tipicamente "adolescenziali" a quelle più politiche degli ultimi album. Gli ultimi testi ci mostrano uno Yorke che da incazzato passa quasi ad uno stato di rassegnazione per tutto quello che nel mondo non va, passando in alcuni brani un ideale testimone al figlio, alle nuove generazione.
Il commento ai testi rispecchia pienamente l'impatto che l'ascolto dei cd hanno avuto su di me. I cd che più mi hanno colpito hanno i testi più intensi e più nelle mie corde, mentre si vede quando è la leggerezza o la mancanza d'ispirazione a dominare. Ok Computer e Kid A rimangono i due capolavori dei RH a mio parere. Ricchi di testi surreali, stranianti e strazianti. Due viaggi in territori che finora i RH non hanno più toccato. Quasi due concept album. Prima e dopo i RH sono diversi. In Pablo Honey e The Bends si stanno formando mentre in quelli successivi cambiano strada e tornanono in un certo senso sulla terra, con i suoi guai. L'analisi degli ultimi album però dimostra meno progettualità, un sentire più frammentato e a volte disorientato. Non mancano ovviamente i picchi ma si sente che gli album sono meno compatti anche a livello "letterario". I temi si fanno sempre più politici ma la poesia un pò si perde.
La conclusione del libro segna la fine di un percorso. Forse i RH stanno mutando nuovamente, stanno cambiando pelle. Non mi resta che aspettare e sperare che mi portino di nuovo altrove.

giovedì 15 marzo 2012

Una sera qualsiasi a Beirut di Sélim Nassib


"Ho trascorso anni a scrivere in francese una realtà che capivo in arabo."

Sélim Nassib scrive "Mi sono divertito a diventare vecchio, donna, bambino, abitante del deserto, fotografo armeno e a raccontare le storie ancora calde che stavo vivendo. Storie incredibili, passionali, paradossali, violente. Man mano che scrivevo questi racconti, si è andato delineando, quasi a mia insaputa, il ritratto intimo di un Oriente mosso da un formidabile desiderio. Un desiderio frustrato."

La serie di racconti di Nassib è qualcosa di più di una semplice raccolta, come lui stesso dice è un ritratto intimo dell'Oriente. Un ritratto politico, sociale ed emotivo di un Medioriente sempre in lotta, soprattutto con se stesso. Con un linguaggio poetico, sognante ma a tratti anche duro, l'autore ci accompagna nell'Oriente attraverso i suoi mille volti, le sue mille storie, la sua sensualità, il suo orgoglio. Ne esce un Oriente ricco di emozioni ma stanco, un popolo stanco di lottare. Le persone non ce la fanno e fuggono fisicamente e con la fantasia. Così l'autore ci descrive un mondo senza tempo e un mondo che è drammaticamente quello contemporaneo.
I racconti sono legati da un filo che ci racconta sentimenti ed emozioni. La narrazione in prima persona crea un legame profondo con i personaggi, con la loro rabbia, il loro amore, la loro passione.
I palestinesi si confondono con gli israeliani che in fondo non hanno niente di particolare, le donne si celano dietro veli per difendersi perchè tutto è possibile solo se rimane sotto il velo.
Sélim Nassib ci racconta anche un oriente magico, antico e mistico dove le preghiere si perdono nel diluvio che impone l'uguaglianza, Allah Akbar, non c'è altro Dio al di fuori di Dio. Le parole più dure le riserva all'Oriente contemporaneo, incapace di fare i conti con se stesso e troppo preso dall'odio, troppo legato al proprio passato per costruirsi un futuro, il passato è la nostra consolazione, la nostra ferita d'amore, la nostra prigione.
Un libro da leggere tutto d'un fiato per gustare il sapore dolce e amore dell'Oriente narrato da Nassib. Tra i racconti piu' belli sicuramente Una sera qualsiasi a BeirutStatus quo ante e Foto Gerusalemme. Ma ogni lettore troverà i propri preferiti perchè l'autore ci regala tanto e le emozioni della lettura possono essere solo nostre.

mercoledì 14 marzo 2012

La scopa del sistema di David Foster Wallace



La storia del romanzo non e' facilmente raccontabile. Si deve immaginare una protagonista, Lenore, e tanti altri personaggi che le ruotano intorno. Non e' una storia convenzionale e la lettura e' come l'ingresso in un vortice. Entri in un mondo nevrotico dove l'autore scrive in modo nevrotico, incrocia storie e racconti, personaggi narranti e personaggi raccontati. E' tutto molto affascinante, l'autore riesce a comunicare il sentimento dell'azione, dei personaggi, riesce a rappresentare il caos emotivo e psicologico di alcuni personaggi e per estensione della societa' contemporanea. Costruisce un personaggio, LaVache il fratello del protagonista, affascinante e fuori di testa che purtroppo viene relegato a poche pagine.
Tutto affascinante e molto postmoderno se non fosse che il libro non mi ha rapito se non per alcune pagine ogni tanto nella lettura. Non sono mai riuscito ad essere in linea con l'autore, forse il mio stato d'animo e l'assenza di nevrosi (fortunatamente) nella mia vita non me lo ha permesso.
L'ho trovato un libro non semplice da leggere e seppur l'intento dell'autore fosse evidente non mi ha catturato nel suo vortice, anzi in alcuni casi mi ha respinto. E' un romanzo che andrebbe letto tutto d'un fiato, se non fossero piu' di 500 pagine, perche' se si perde il filo si perde il contatto ed e' stato difficile se non impossibile per me in alcuni casi recuperarlo.
Non e' detto che tutti gli autori che si leggono debbano essere in linea con noi stessi, anzi, penso che sia difficile trovarli. Ho apprezzato l'autore e il suo stile ma probabilmente non so se ripetero' l'esperienza di leggerlo nuovamente. Non c'e' niente da fare alcuni esempi di letteratura contemporanea continuo a non digerirli pienamente, forse sono un contemporaneo atipico.

martedì 13 marzo 2012

L'alligatore di Massimo Carlotto



"Marco Buratti è un investigatore senza licenza con sette anni di galera alle spalle e anche i suoi soci provengono da esperienze simili. Nulla a che vedere con gli onestissimi personaggi della tradizione italiana, che ho ritenuto fin dall'inizio poco adatti a sguazzare nelle paludi fangose dove sguazza l'Alligatore a caccia della "sua" verità."

Così Massimo Carlotto introduce il protagonista della sua serie di romanzi che ho letto raccolti in un unico volume. La verità dell'AlligatoreIl mistero di MangiabarcheNessuna cortesia all'uscitaIl corriere colombianoIl maestro di nodi. 5 romanzi per scoprire l'invenzione letteraria di Carlotto, per scoprire il suo modo di fare indagine, di muoversi nel sottobosco criminale italiano.
Dopo aver letto diversi romanzi di Carlotto si ritrova molto di auotobiografico in questo suo personaggio, in questo suo investigatore ai limiti della legge, anzi al di fuori della legge. Nell'Alligatore sembra di rivedere sullo sfondo tutto il trascorso di Carlotto raccontato ne il Fuggiasco. E' facile riconoscere in questo personaggio la giustizia vissuta ai margini, una giustizia strappata con la forza e con strumenti non convenzionali.
Nei romanzi di questa raccolta vengono raccontate 5 storie differenti ma tutte con gli stessi protagonisti che vivono l'indagine con le proprie personalità. L'Alligatore, Max la Memoria e Beniamino Rossini sono le diverse personalità di un mondo criminale variegato che tenta di riscattare le ingiustizie ognuno con i propri strumenti. Leggere i romanzi tutti insieme ti permette di notare come le personalità dei diversi personaggi nel corso delle storie diventano sempre più complesse e reali, come persone realmente esistenti.
Un aspetto interessante dei romanzi dell'Alligatore è il loro essere ancorati alla realtà sociale e politica italiana, alle logiche della sua giustizia e del suo mondo criminale. Un viaggio anche cronologico che permette di vedere i cambiamenti della realtà italiana, sociale e politica. Un viaggio violento ed emozionante nel mondo criminale, visto dall'interno e da una prospettiva non istituzionale.
Se dovessi scegliere le storie che mi hanno appassionato di più ne sceglierei due. Il mistero di Mangiabarche, pieno di emozioni, con una storia avvincente, ricco di azione e colpi di scena. Il maestro di nodi perchè oltre ad avere una storia che t'incolla alle pagine è il più vicino a livello temporale ai nostri giorni e alle problematiche sociali e politiche dei giorni nostri.

lunedì 12 marzo 2012

Crash di J.G Ballard


Crash è un romanzo che ruota attorno alle automobili e su come esse possano generare desiderio sessuale. "Per lui, ferite del genere erano le chiavi di una nuova sessualità, generata da una perversa tecnologia; e le loro immagini stavano appese nella sua galleria mentale come oggetti esposti in un museo da macello."
E' un romanzo che va letto senza preconcetti, si deve accettare ciò che viene raccontato. Solo questo approccio al libro può permettere al lettore di penetrare nel profondo della psicopatologie umane. Solo in questo modo il lettore può capire quanto la tecnologia è entrata così a fondo nella nostra vita.
In Crash si parla di automobili perchè sono la più quotidiana delle tecnologie. Le automobili sono ormai parte integrante della vita di ognuno. Da queste premesse parte Ballard e ci trascina all'interno di menti perverse che provano godimento nell'incidente stradale. Solo nelle automobili hanno piena soddisfazione i loro piaceri sessuali.L'autore spinge al limite il racconto e la narrazione diventa a tratti pornografia. Solo in questo modo riesce a dare una forma narrativa alle sue idee.
Scritto negli anni 70 e letto oggi, il romanzo non perde d'impatto e molte volte mi ha fatto pensare al rapporto che molti hanno con l'automobile, soddisfatti di fare chilometri all'interno dell'abitacolo metallico, soddisfatti di tenere lucide e linde le loro automobili e fieri di ostentarle di fronte agli amici. Non penso che il romanzo sia eccessivo, non penso che l'utilizzo della pornografia sia voyeuristico, tutto è una metafora eccessiva di quello che realmente potrebbe essere il rapporto perverso eppure normale con l'auotomobile e la tecnologia. Dopotutto parliamo di fantascienza che con Ballard tocca vette di profondità analitica eccezionali. E poi come lui stesso dice nella postfazione Lo scrittore non ha più una posizione morale: offre al lettore i contenuti del proprio cervello, sotto forma di una serie di possibilità alternative fantastiche.Questo romanzo è uno di quelli in cui il gradimento personale e soggettivo non conta più di tanto. E' un romanzo disturbante che quasi mai mette a proprio agio ma non crea distacco con il lettore. C'è una sorta di attrazione/repulsione che affascina e rapisce. Che dire leggere questo romanzo e la sua bellssima postfazione rende ancora più malinconica l'idea che J.G Ballard non ci sia più.

Necropoli di Boris Pahor è un libro che parla della vita in un campo di concentramento. E' la storia di un uomo che torna nel suo campo di prigionia da "turista" dopo la fine della guerra ma che turista non è. L'aspetto a livello letterario più affascinante di questo romanzo biografico è il continuo rimando tra presente e passato. Un presente che è una visita al campo e dove il protagonista/autore si mescola e si distanzia dai curiosi turisti. Il passato è la prigionia raccontata in modo crudo e diretto senza compassione per sé stesso, anzi l'autore ha il senso di colpa di esserne uscito vivo mentre molti, troppi, non sono usciti vivi dalla prigionia.
L'altro aspetto che è affascinante di questa narrazione è che racconta in modo dettagliato quello che vivevano nel campo, le loro sensazioni, la loro distanza dalla realtà e dal mondo.

"Mi viene da pensare che le prime volte neppure io ero conscio di quale materiale fosse usato dal fuochista per scaldare l'acqua; eppure sento che, anche se l'avessi saputo, nulla sarebbe cambiato nel mio stato d'animo. Questa insensibilità mi contraddistingue nella folla dei gitanti domenicali; allo stesso tempo mi pare che i morti, allora, offrendomi in dono un po' di acqua calda, mi abbiano accolto in una confraternità più sacra di tutte le confraternite generate dalle religioni."

Un estratto che eprime chiaramente quello che con le mie parole è difficile da sintetizzare.
E' un racconto difficile da leggere, sia per i contenuti che per lo stile che non aiuta il lettore. Ho trovato non poche difficoltà ad entrare in questa narrazione con pochi a capo e con capitoli lunghissimi. Forse questa necessità di una totale immersione nella parola scritta era voluta dall'autore per incidere più a fondo l'animo di chi leggeva, per non rendere semplice una storia che di semplice aveva ben poco.

domenica 11 marzo 2012

La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano


La storia narra di due bambini che diventano ragazzi e poi adulti. Alice e Matteo vivono vite parallele che s'incrociano nel corso della narrazione. Hanno in comune un animo solitario e un grosso dramma nella loro vita. Tra amori tormentati e violenze adolescenziali il libro narra semplicemente la vita di due persone che vivono ai margini, non tanto della societa' ma dei sentimenti.
Lo spunto iniziale del romanzo e' molto interessante: raccontare la storia di due anime sole e solitarie che probabilmente si amano ma non s'incontrano mai paragonandoli ai numeri primi.

"Nella serie infinita dei numeri naturali, esistono alcuni numeri speciali, i numeri primi, divisibili solo per se stessi e per uno. Se ne stanno come tutti gli altri schiacciati tra due numeri, ma hanno qualcosa di strano, si distinguono dagli altri e conservano un alone di seducente mistero che ha catturato l’interesse di generazioni di matematici. Fra questi, esistono poi dei numeri ancora più particolari e affascinanti, gli studiosi li hanno definiti “primi gemelli”: sono due numeri primi separati da un unico numero."

Lo sviluppo della storia e' lineare e la narrazione scivola sotto gli occhi. Questa facilita' della lettura, questo suo scorrere non lascia molto a parte alcuni picchi sopratutto nella prima parte, dove l'eta' dell'adolescenza e' piu' amara e crudele. A tratti questa adolescenza crudele pero' e' gia' vista, gia' sentita, gia' letta. Manca quella crudelta' e quell'amara solitudine dei personaggi di Ammaniti. Anche con la crescita dei protagonisti il registro non cambia molto, e l'effetto delle solitudini dei numeri primi protagonisti della storia si perde lentamente fino alle ultime pagine dove non rimane quasi nulla.
A tratti sembra che la narrazione possa incidere l'anima del lettore che i personaggi possano diventare struggenti, invece nulla accade ed e' come se lo scrittore si perdesse e non riuscisse ad andare in fondo.
E' strano l'effetto che mi ha fatto questo romanzo, apparentemente intenso e ricco di emozioni all'inizio, e che scivola lentamente verso un vuoto emotivo nel finale. Solitamente i romanzi che funzionano meglio secondo me seguono il percorso inverso, per lasciare la soddisfazione alla fine della lettura.
La solitudine dei numeri primi e' un romanzo che non delude e non appassiona, finisce con l'ultima pagina letta. Non rimane nulla della storia, dei suoi personaggi e dei loro sentimenti. Non ha lasciato in me quello spaesamento e quel senso misto di soddisfazione e nostalgia che ho solitamente alla fine di un romanzo. La soddisfazione di aver assaporato una bel libro e la nostalgia di aver finito di leggerlo.

sabato 10 marzo 2012

Dance Dance Dance di Murakami Haruki


Dance Dance Dance e non si fa altro che danzare leggendo questo romanzo giapponese. Un racconto pieno di personaggi che sembrano materializzarsi realmente, di luoghi reali e di mondi paralleli, di sogni e immaginazione. Eventi violenti e magici. Incontri straordinari e surreali. Si respira quello che si respira nei film di Lynch.
L'apparente caos del racconto di Murakami narra la storia di un uomo che non ha mai trovato sè stesso e attraverso una serie di eventi e sopratutto l'incontro con alcune persone lo direzionano dalla parte giusta. Non è semplice il suo percorso, la strada è ricca d'imprevisti e di eventi drammatici. Prendere coscienza di sè stessi è proprio questo e l'autore riesce al meglio a comunicare questo suo messaggio, attraverso uno stile di scrittura avvolgente. Una storia fatta di frammenti, di eventi sconnessi tra loro. Un uomo capra, scheletri, prostitute e un albergo misterioso.
Probabilmente la nascita è un evento che non sempre definisce l'inizio della vita di una persona. In alcuni casi è necessario vivere una parte della vita per nascere veramente, per trovare quello che in realtà si vuole essere, quello che si vuole avere. Proprio questo fa il protagonista di questo bellissimo romanzo. Un affascinante viaggio in un Giappone che riesce a regalare delle sensazioni magiche.

venerdì 9 marzo 2012

Mr Vertigo di Paul Auster



Paul Auster ormai per quanto mi riguarda e' una certezza. Mi riconcilia con la lettura e rende preziosa l'attesa di rubare poche righe del racconto al tempo quotidiano. Un autore che romanzo dopo romanzo mi conquista con la sua narratività apparentemente lineare e asciutta ma ricca d'immaginazione che ti porta sempre altrove.
Mr Vertigo è una storia emozionante, una storia di prodigi e normalità, di voli e cadute. Di persone straordinarie e di persone normalmente straordinarie. E' il racconto di una persona che cresce e ogni fase della sua crescita e' contraddistinta da un'anima diversa: un bambino, un ragazzo e un uomo, tre persone che cambiano e che mutano nel corso degli anni ma che ritrovano la loro unicita' nel momento in cui l'uomo diventa anziano. Ogni generazione che attraversa plasma un sè diverso. Ogni evento ed episodio della vita di Walt diventa il tassello che gli permette di diventare realmente qualcuno, se stesso e non un altro.
Con questo romanzo Auster c'insegna a volare. Walt ci racconta la sua storia per farci capire cosa significa volare. Dopotutto secondo il protagonista del romanzo e' semplice anche se lui ci mette una vita a scoprirlo. Forse ci vuole una vita intera per capire la reale importanza del volo e trovare la capacità di affrontarlo...Bisogna lasciarsi svaporare. Eliminate ogni tensione muscolare, concentratevi sul respiro fino a sentire l'anima che esce dal corpo, e infine chiudete gli occhi. E' così che si fa. IL vuoto che vi si crea dentro il corpo si fa più leggereo dell'aria che vi circonda. A poco a poco, pesate meno di nulla. Chiudete gli occhi; allargate le braccia e lasciatevi svaporare. A quel punto, poco per volta, vi solleverete da terra. Ecco, così.

giovedì 8 marzo 2012

Riconciliarsi con la lettura


Adoro leggere. Adoro i libri e perdermi dentro di essi. Ci sono però dei periodi, che per fortuna capitano raramente, in cui trovo difficoltà a leggere. I motivi sono diversi ma penso che sia soprattutto dovuto alla lettura di libri non proprio entusiasmanti. In questi periodi si ha voglia di cercare il libro meraviglioso, l'autore che t'illumina la storia che ti strappa dalla realtà. Non c'è verso, e anche autori che potrebbero essere una certezza ti deludono o si scoprono troppo umani.
In queste delusioni letterarie inserisco in questo ultimo periodo Kafka ed Hemingway. Il primo non è una delusione in quanto autore ma una sorpresa negativa come uomo. Ho letto Lettera al padre e ho scoperto un Kafka molto umano, molto debole e con poco carattere. Un uomo timoroso della vita e di se stesso. Deve essere stato difficile per lui scrivere questa lettera perchè si mette completamente a nudo. La lettera è una sorta di ipnosi regressiva dove Kafka ritorna bambino o forse si rende conto di non aver mai raggiunto la maturità. Il libro è interessante perchè emerge una delle tematiche fondamentali di tutta la letteratura di Kafka: il rapporto con l'autorità. Alla fine della lettura rimane un senso di sconsolata amarezza per aver scoperto un piccolo uomo dietro un grande autore.
L'altra delusione, che conferma purtroppo il mio giudizio sull'autore, è Hemingway e il suo Il vecchio e il mare. E' un romanzo che probabilmente deve essere letto in età matura per apprezzarne la poetica e la storia. La storia di un uomo che nella fase finale della sua vita lotta contro se stesso e le fatiche della sua vita per affermarsi ancora come uomo e non solo come un vecchio. Poi c'è il mare così protagonista in questa storia, la sua presenza è ingombrante soprattutto per uno come me che non ha un rapporto simbiotico e di amicizia stretta con il mare.
Il racconto può essere affascinante ma lo stile dell'autore non è decisamente nelle mie corde. Dopo la lettura dei suoi Quarantanove racconti, Hemingway mi delude ancora. Forse un giorno chissà...
Ora aspetto il libro che mi riconcili con la lettura. Per ora come sempre non demordo e mi rifugio nella saggistica e nel tanto familiare e accogliente cinema.

mercoledì 7 marzo 2012

In acque profonde di David Lynch


Il libro di Lynch è un'insieme di frammenti, di pensieri sul cinema e sulla meditazione. Si alternano le sue idee sul cinema e sulla meditazione trascendentale. Un pò strana la struttura di questo libro che a volte risulta un pò macchinoso e non proprio fluido.
Ho letto questo libro con l'intenzione di scoprire un pò di più di Lynch. Forse volevo scoprire da dove venissero le sue idee, le sue immagini, i suoi suoni. Non si capisce chiaramente da dove emerga il mondo di Lynch ma c'è come la sensazione che sia lì dietro e si voglia svelare da un momento all'altro.
David Lynch è un autore straordinario. Il suo cinema e i suoi film ti portano altrove. I mondi paralleli sono all'ordine del giorno. Vedendo i suoi film ti domandi continuamente da dove possano provenire le sue idee. Non sono semplici da spiegare i suoi film, vanno solamente visti perchè sono un'esperienza visiva e sonora da vivere.
Lo stesso Lynch dichiara che il cinema non ha bisogno d'interpretazione e di spiegazione ma deve essere vissuto come un'esperienza sensoriale e mentale. Ho sempre pensato che il cinema di Lynch è un delicato massaggio alle terminazione nervose del cervello e per questo non mi ha stupito che da questo libro autobiografico non emerga la fonte delle sue idee. Emerge il suo modo di affrontare il pensiero, il suo modo di predisporsi e aprirsi alle idee che potrebbero arrivare. La meditazione per Lynch è anche questo, soprattutto quando si parla di arte.
Tra i frammenti del libro emergono le passioni di Lynch per Fellini, per Kubrick. Emerge la sua idea del cinema del futuro, un cinema digitale che deve poco alla narratività classica. Un cinema dove il suono ha ruolo predominante e dove l'esperienza della sala cinematografica può essere affiancata ad altre forme di fruizione.
In acque profonde non è un libro sul cinema ma è un libro su Lynch e sul suo modo di essere un'artista. E' probabilmente il modo migliore per parlare di Lynch. Le idee come frammenti sono il cibo del suo cinema e della sua arte e un racconto frammentato è l'unico modo per tentare di fissare Lynch sulla pagina stampata, nonostante lui sia profondamente visivo e sonoro.