Overlooking Kubrick è una raccolta di saggi, quindi come accade in questi casi, non ho provato il piacere di leggerlo da cima a fondo, c'è sempre qualcosa che non piace, qualcosa che non è nelle proprie corde. Il libro è il frutto di una serie di convegni svoltisi in Italia, una sorta di "antologia critica kubrickiana" come la definisce il curatore della raccolta.
Il testo si struttura su alcuni grandi temi (la storia, la messa in scena, lo sguardo, il montaggio, la psiche), avvalendosi degli interventi di "veterani" del cinema di Kubrick come Sandro Bernardi o Pierre Sorlin, e di altri analisti del testo filmico come Paolo Bertetto, Mario Sesti o Roberto De Gaetano.
Tra i grandi temi affrontati quelli che ho preferito sono stati quelli più strettamente cinematografici come la messa in scena e il montaggio. Anche gli altri saggi sono interessanti ma quando leggo di cinema preferisco l'analisi legata al film, alle sue inquadrature, al suo specifico linguaggio. Dopotutto parlare di un regista è parlare di quello che ha filmato e non di quello che avrebbe voluto fare, perché è quello il linguaggio che sceglie per comunicare.
I saggi che ho preferito sono:
- Mario Sesti, L'automa ribelle: Kubrick e gli attori
- Sandro Bernardi, Kubrick e Lolita "per sempre" (dedicato a Kubrick e i generi, a partire da Lolita)
- David Ballerini, La natura selvaggia dello sguardo (dedicato al racconto del mito attraverso l'analisi di Shining)
- Marcello Walter Bruno, L'osso e l'astronave (dedicato al montaggio nel cinema di Kubrick)
- Renato Tomasino, Lo sguardo di Dio (sui movimenti di macchina, il campo-controcampo e l'uso della soggettiva).
Nei saggi che ho letto con più piacere ci sarebbero moltissime citazioni da fare ma estrapolarle dal contesto le renderebbe poco interessanti. Tra le tante c'è una dichiarazione dello stesso Kubrick che parla di attori e forma cinematografica:
"Si tratta di stabilire un compromesso fra lo stile cinematografico che si vuole ottenere e la recitazione degli attori cui bisogna venire incontro: conviene sempre scegliere la recitazione. Charlie Chaplin ne è l'esempio perfetto. Non possiede uno stile cinematografico e la materia da lui filmata è perfetta al cento per cento. Ed Ejzenstejn è esattamente il contrario; cento per cento di forma e una materia poverissima..." ("Positif", 1969).
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