mercoledì 22 febbraio 2012

Da dove sto chiamando di Raymond Carver


Leggere i racconti è come rubare frammenti di storie. Il bello dei racconti è il loro essere in un certo senso incompleti. Ti possono dare forti emozioni e forti delusioni che si esauriscono in poche pagine. Nella prefazione di Da dove sto chiamando di Raymond Carver ho trovato due bellissime citazioni che parlano della forma breve del raccontare.

"Non c'è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di uno punto messo al punto giusto." Isaac Babel.

Il racconto è "qualcosa di intravisto con la coda dell'occhio, di sfuggita"V.S. Pritchett

Quest'ultima definizione si sposa bene con i racconti di Carver. Nella raccolta Da dove sto chiamando c'è come un mosaico di storie, frammenti di vite. E' come vedere il mondo dall'alto, scenedere in una città a caso e rubare dei momenti di vita di alcune persone.
Ogni suo racconto ti regala emozioni diverse ma in quasi tutti c'è come una suspense sottointesa. E' come se nel corso del racconto dovesse accadere qualche evento determinante ma alla fine non succede nulla. Tutto si risolve nel raccontare. E' l'atto del racconto che è importante, non è essenziale che ci sia un inizio e una fine nella storia ma è importante quello che viene raccontato in quel momento. La suspense è creata dal solo raccontare, anche se si parla di vite normali. Un racconto che in alcuni casi viene fatto per sconfiggere la noia e la monotonia di alcune vite, per esorcizzare drammi, delusioni, rancori. (come in Che cosa si combina a San Francisco, Grasso o in Che ci sarà mai in alaska?).
Poi c'è lo stile asciutto e lineare di Carver che rende i racconti di una profondità disarmante, anche se il racconto è semplice e senza troppa introspezione. Ti trovi intrappolato nelle trame del suo racconto e non capisci come ci sei finito dentro.
Oltre alla senzazione comune un po' a tutti i racconto ci sono stati dei racconti che mi sono piaciuti più di altri.
La moglie dello studente è struggente. Una ragazza soffre d'insonnia e non ne comprende il perché. C'è angonscia nella vita della ragazza, ma non emerge chiaramente, è nascosta o rimossa. Il suo corpo però se ne accorge e lo comunica attraverso l'insonnia.
Che ci sarà mai in Alaska? racconta di una serata tra due coppie di amici, dove si mangia e si fuma erba. Finisce il racconto e hai il cuore in gola senza sapere il perché. Nel racconto tra le righe emerge il rimosso, il rancore, quello che si nasconde ma che è lì in agguato, in attesa di uscire. Ma come sempre non succede nulla.
Cattedrale è difficile da raccontareQui lo stile di Carver è eccezionale. La delicatezza e la scelta delle parole ti fa emozionare. La semplicità del racconto crea la poesia. E' un racconto da leggere.

"Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l'ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, "creature di sangue caldo e nervi", come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita." Dalla prefazione di Raymond Carver

0 commenti: