lunedì 12 marzo 2012


Necropoli di Boris Pahor è un libro che parla della vita in un campo di concentramento. E' la storia di un uomo che torna nel suo campo di prigionia da "turista" dopo la fine della guerra ma che turista non è. L'aspetto a livello letterario più affascinante di questo romanzo biografico è il continuo rimando tra presente e passato. Un presente che è una visita al campo e dove il protagonista/autore si mescola e si distanzia dai curiosi turisti. Il passato è la prigionia raccontata in modo crudo e diretto senza compassione per sé stesso, anzi l'autore ha il senso di colpa di esserne uscito vivo mentre molti, troppi, non sono usciti vivi dalla prigionia.
L'altro aspetto che è affascinante di questa narrazione è che racconta in modo dettagliato quello che vivevano nel campo, le loro sensazioni, la loro distanza dalla realtà e dal mondo.

"Mi viene da pensare che le prime volte neppure io ero conscio di quale materiale fosse usato dal fuochista per scaldare l'acqua; eppure sento che, anche se l'avessi saputo, nulla sarebbe cambiato nel mio stato d'animo. Questa insensibilità mi contraddistingue nella folla dei gitanti domenicali; allo stesso tempo mi pare che i morti, allora, offrendomi in dono un po' di acqua calda, mi abbiano accolto in una confraternità più sacra di tutte le confraternite generate dalle religioni."

Un estratto che eprime chiaramente quello che con le mie parole è difficile da sintetizzare.
E' un racconto difficile da leggere, sia per i contenuti che per lo stile che non aiuta il lettore. Ho trovato non poche difficoltà ad entrare in questa narrazione con pochi a capo e con capitoli lunghissimi. Forse questa necessità di una totale immersione nella parola scritta era voluta dall'autore per incidere più a fondo l'animo di chi leggeva, per non rendere semplice una storia che di semplice aveva ben poco.

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